LA FISICA, DIO E L'ANIMA

 LA FISICA, DIO E L'ANIMA


La fisica come scienza teoretica

Per Aristotele lo studio del mondo fisico parte delle scienze teoretiche (insieme alla matematica e alla filosofia prima), che rappresentano il vertice a cui può giungere la conoscenza degli uomini; il filosofo, dunque, eleva al rango di scienza proprio quel mondo naturale che Platone aveva considerato inferiore e fonte di ragionamenti "probabili", non totalmente affidabili. La fisica aristotelica è qualitativa, nel senso che tiene conto esclusivamente delle proprietà essenziali di ogni sostanza e stabilisce una differenza qualitativa tra gli elementi, e finalistica, in quanto coglie una finalità nei singoli processi dell’universo; essa, inoltre, nega ogni valore alla matematica applicata alla natura. Il pensiero scientifico moderno dovrà sostenere una dura lotta per scalzarne l’influenza – anche perché nel Medioevo la dottrina aristotelica viene rafforzata da implicazioni di carattere teologico e morale e solo a partire da Galileo Galilei (1564-1642) potrà riaffermare il valore dello studio quantitativo della natura innescando lo straordinario processo di sviluppo e progresso che ha caratterizzato l'epoca moderna. Per quanto riguarda la trattazione del problema di Dio, precisiamo che viene considerato in continuità con il discorso fisico sulla natura, proprio perché il Dio di Aristotele non è una divinità personale, ma un’ipotesi resa necessaria dalle tesi sulla struttura causalistica dell'universo.

La teoria delle quattro cause

La fisica aristotelica si occupa delle sostanze che mutano e si trasformano ed è pertanto una teoria del movimento, Aristotele spiega il divenire mediante le nozioni di "atto" e "potenza": ogni sostanza possiede delle qualità potenziali che, attraverso un processo di trasformazione, possono realizzarsi pienamente e raggiungere la forma in atto. Ad esempio, diciamo che il gas è infiammabile perché sappiamo che ha la potenzialità di bruciare, a condizione che accendiamo una fiamma; diciamo che un grosso sasso può staccarsi dalla montagna, in quanto esso, a determina- te condizioni, ha la potenzialità di cadere. Dagli esempi si evince che ogni trasformazione, ossia ogni passaggio dalla potenza all'atto, richiede delle particolari condizioni e determinate cause: il gas non brucia se non in presenza di una fiamma, il sasso non cade se non rotola lungo un terreno inclinato, una volta staccatosi dalla montagna. Aristotele, procedendo con rigore analitico, giunge a elaborare una sottile e originale spiegazione dei fenomeni, riconoscendo all'origine di ognuno di essi quattro tipi di cause:

 1. una causa materiale: la materia di cui una cosa è fatta (ad esempio il legno con cui è costruita una sedia); 

2 una causa formale: la forma, l'essenza, ciò che fa sì che una cosa sia proprio quella cosa e non un'altra (ad esempio l'idea, il progetto del falegname che costruisce la sedia); 

3. una causa efficiente: la forza che genera un mutamento, sia agendo dall'esterno, come nel caso della spinta inferta a un corpo, sia agendo dall'interno, come nel caso di una decisione o di un'azione (ad esempio il lavoro dell'artigiano); 

4. una causa finale: lo scopo in vista del quale il processo avviene (ad esempio il guadagno se la sedia viene venduta, o il suo utilizzo per sedersi).  

Nei processi naturali la causa formale, la causa efficiente e quella finale si presentano unificate e dunque le cause si riducono a due: il fiore è nello stesso tempo la forma, la causa efficiente (perché si sviluppa da sé) e il fine della trasformazione del seme; invece, nei processi artificiali esse sono disgiunte: in una scultura, ad esempio, la causa materiale è la materia utilizzata, la causa formale è l'idea dell'artista, la causa efficiente la sua attività, il fine l'espressione artistica o la gloria.. Nella prospettiva aristotelica particolare importanza riveste la causa finale, la quale tende a coincidere con la forma, dal momento che ogni ente mira alla realizzazione piena della propria essenza. Aristotele ritiene che la natura non agisca mai senza uno scopo e che tutti i processi fisici o biologici rispondano a una legge intrinseca di carattere finalistico: il sasso cadrà sempre a terra; il fumo salirà in alto; la ghianda si svilupperà in quercia; il bambino in uomo.. Per la risonanza storica che ha avuto tale dottrina – considerata indiscutibile fino al Medioevo - è interessante considerarla con particolare attenzione.

L'ordine finalistico dell'universo

Dall'attenta osservazione dei fenomeni naturali Aristotele evince che nulla, nella natura è governato dal caso o dalla pura necessità meccanica: i denti degli animali, ad esempi spuntano proprio in funzione dello scopo che devono adempiere, quello di tagliare cibo (gli incisivi) e di frantumarlo (i molari), così come la pelliccia di cui sono ricoperti cresce per proteggerli dal freddo. Questa concezione avvicina il filosofo in un certo senso a Platone, il quale riteneva che se l'uomo ha la posizione eretta, con la testa che si eleva sul resto del corpo, ciò di- pende dal fatto che tale conformazione gli consente un punto di osservazione privilegia- to, garantendogli la superiorità rispetto al regno animale. A differenza di Platone, però Aristotele ritiene che il fine sia inscritto nella natura stessa delle cose, come un impulso spontaneo che le spinge a realizzare variamente la loro essenza nel migliore dei modi possibili (la loro forma di uomo, di fiore, di sasso...). Ciò che non rispetta tale ordine costituisce un'eccezione della natura e, venendo meno alla regola, si presenta come un fenomeno abnorme, anormale. Si tratta di una visione ottimistica dell'universo che, in termini tecnici, possiamo de- finire teleologica (télos, in greco, significa "fine"), in quanto crede in un ordine finalistico e necessario che governa il mondo in ogni sua parte, per quanto piccola e apparentemente insignificante. Nonostante questo Aristotele non può essere definito un filosofo "determinista"; egli infatti è preoccupato di lasciare spazio alla libertà, affermando che gli eventi futuri non sono del tutto e per tutto determinati (l'eccezione è sempre possibile) e che esiste un ambito, quello delle azioni morali, che non è soggetto alla legge della necessità. Dalla visione finalistica della natura dipende la "teoria dei luoghi naturali", secondo la quale ogni elemento in natura ha un suo posto preciso e, appunto, "naturale", a cui tende con un particolare tipo di movimento. Consideriamo, dunque, come Aristotele concepisca quest'ultimo, che costituisce l'oggetto specifico della fisica.

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